Quando si parla di tecnologia dedicata alla sicurezza, sia essa domestica che in ambito lavorativo, tutti noi siamo sempre alla ricerca del meglio, del meglio che c’è in fatto di innovazione ed affidabilità anche in tema di videosorveglianza, oggi sempre più utilizzata nel settore ma, ci siamo mai chiesti quali siano le implicazioni di carattere legale?
Certo, quando sono a rischio valori come la vita umana ma anche la salvaguardia di impianti tecnologici o opere di ingente valore, noi siamo involontariamente indotti a sorvolare su aspetti che al contrario, secondo il legislatore, devono essere tenuti in debita considerazione.
Parliamo ad esempio degli impianti di videosorveglianza di ultima generazione ad esempio, di quelli con tecnologia PTZ tanto per citarne alcuni che, come noto, permettono di brandeggiare la telecamera in su, in giu, a destra o a sinistra avvicinando o allontanando l’obiettivo a seconda delle necessità.
Certo, con tali evolutissimi occhi elettronici raggiungiamo sicuramente lo scopo di tutelarci da eventi esterni, magari immagazzinando immagini che, quando necessario consentano l’individuazione dei responsabili, anche sui luoghi di lavoro, tipo in occasione di incidenti.
Tutto sembra perfetto ma fate veramente molta attenzione a quello che stiamo per segnalarvi.
Un impianto di videosorveglianza a norma di legge perché possa risultare certificato ex art.4 Legge n.300/1970 e coerente ai principi dettati dal Garante in materia di privacy, deve osservare prescrizioni davvero stringenti.
Ade esempio, se si decide di installare delle telecamere in aree di lavoro, ci si dovrà astenere dall’inquadrare direttamente e continuamente il lavoratore (sarebbero tollerate solo inquadrature momentanee ed occasionali)mentre si potranno liberamente inquadrare le aree adibite a locali di vendita, comprendendo in tale ambito i clienti in transito oltre chiaramente ad ogni varco di accesso o di uscita, ivi comprese le finestre.
Sze si decide di riprendere aree adiacenti a postazioni di lavoro invece dovranno usarsi inquadrature a campo ristretto e se necessario oscurare l’identità di lavoratori presenti ad esempio con tecniche di privacy mask.
Passando poi alle ovvie necessità di immagazzinare i dati rilevati e alla loro eventuale consultazione in caso di necessità, si dovranno osservare ulteriori prescrizioni come le seguenti:
– Le memorie digitali contenenti i dati immagazzinati andranno custodite in armadi chiusi a chiave in appositi locali;
– Le relative chiavi fisiche o digitali (password) devono essere detenute dal datore di lavoro e congiuntamente dal rappresentante delegato dai lavoratori;
– L’accesso ai dati deve sempre avvenire congiuntamente tra le parti e, quando ciò non sia possibile per ragioni d’urgenza, il rappresentante dei lavoratori deve essere tempestivamente informato;
– Di ogni accesso deve essere dato atto su di apposito registro a fogli previdimati tenuto in azienda, sul quale andranno annotate anche le verifiche mensili di regolarità.
Notazione altrettanto importante va riservata al concetto di conservazione dei dati, nel senso temporale del termine.
Non sarebbe infatti pensabile che le immagini acquisite per motivi di sicurezza, diventino poi parte di un sistema di dossieraggio allargato, esse devono essere trattenute solo il tempo stabilito dal legislatore (Provvedimento 8 aprile 2010) che va dalle 24 ore (salvo giornate festive incidenti) per le imprese ai circa sette giorni contemplati per gli istituti di credito.
Questi ultimi hanno difatti l’evidente necessità di detenere più a lungo i fotogrammi raccolti per ragioni connesse alla sicurezza delle eventuali attività investigative connesse ad eventi dannosi come ad esempio i furti e le rapine, piuttosto che le asportazioni degli sportelli bancomat.
Tempi più lunghi di conservazione possono comunque essere richiesti all’Autorità Garante in presenza di particolari necessità di ricostruzione connesse ad indagini della Magistratura.
Da ultimo, l’attenzione del legislatore ha normato anche le modalità di osservazione delle immagini in fase di raccolta.
Molto spesso infatti le telecamere di videosorveglianza sono connesse a monitor i quali, secondo la legge, non devono assolutamente essere collocati alla mercè di chiunque né, tantomeno, nell’esclusiva disponibilità del datore di lavoro ma bensì devono essere collocati in appositi locali il cui accesso è possibile solo congiuntamente, quando le condizioni lo richiedano tra il datore di lavoro, il rappresentante dei lavoratori e gli organi inquirenti.